L’ultimo incontro di Traiettorie di Sguardi di quest’anno, dal titolo Io sono Caino, ha avuto come
ospite il docente di Diritto Penale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Luciano Eusebi.
Il professore Eusebi ha aiutato i giovani presenti in sala a capire come il nostro modello di giustizia,
quello che si ispira all’immagine della bilancia, non possa rispondere in modo esaustivo a tutti i
reati che vengono compiuti, in Italia, ma non solo.
La domanda esistenziale di fronte alla quale tutti prima o poi si ritrovano è: che senso si deve dare
alla presenza del negativo?
A questa domanda la giustizia, o meglio l’idea che abbiamo di giustizia, risponde con la logica del
corrispettivo: al bene si risponde col bene, al male con il male.
Ma questo modello entra in crisi da quando l’umanità possiede gli strumenti per autodistruggersi: la
logica del corrispettivo rischia dunque di spingere l’umanità sull’orlo del baratro e di diventare un
moltiplicatore del male.
Anche il diritto penale si regge su questa logica: infatti, al reato viene corrisposta una pena basata
sulla durata della sofferenza in carcere.
Tuttavia questo modello porta in sé delle contraddizioni. Innanzitutto tende a cancellare la
consapevolezza dei fattori che favoriscono la criminalità: cioè, anziché agire sui fattori che
permettono il delinquere, si agisce direttamente su chi ha commesso il reato; in secondo luogo si
dimentica che la maggior parte dei reati viene commesso per soldi: sarebbe utile un diritto penale
che vada dunque a toccare gli interessi dei criminali, come accade in Germania dove i ¾ dei reati
viene punito con pene pecuniarie. In terzo luogo è contraddittorio pensare che si possa fare
prevenzione al crimine attraverso l’intimidazione della pena. La prevenzione funziona solo in quei
paesi che riescono a tenere elevato il tasso di rispetto della norma per scelta anziché per paura; che
non rispondono al male commesso con azioni che vanno a contraddire i principi e i valori su cui si
regge il paese stesso.
E’ anche per questo motivo che la giustizia deve tentare la strada del recupero di chi ha commesso
reato, perché una persona recuperata è un testimone di legalità molto più credibile di chiunque altro,
soprattutto all’interno dell’ambiente in cui ha commesso il reato stesso.
La detenzione deve rimanere dunque come extrema ratio, ma insieme ad essa vanno pensate pene
diverse.
La riposta al reato potrebbe dunque essere un progetto, cioè una pena prescrittiva, un fare, un
percorso. La strada intrapresa dalla giustizia riparativa è dunque quella di “rendere giusto qui e ora
un rapporto che non lo è stato”, attraverso alcune modalità che già esistono, in particolare nel
minorile, come la cosiddetta messa alla prova.
Il professor Eusebi propone dunque una nuova immagine rappresentativa della giustizia che è quella
del ponte che unisce due sponde tra le quali c’è una distanza, una frattura. Il reato provoca una
frattura più o meno profonda, ma la risposta a questa frattura può essere anche il tentativo di
colmarla ricostruendo un dialogo, ridando un’identità tanto alla vittima quanto al criminale.
L’immagine della giustizia come bilancia si è appropriata anche della fede cristiana: la salvezza
come compensazione del male, la croce come culmine di sofferenza per l’espiazione del peccato
dell’uomo. In verità ciò che è salvifico è l’amore non la croce: ciò che salva non è il male patito da
Cristo in croce, ma l’amore, cioè il progetto di bene che viene portato a suo compimento nonostante
il male.