L’incontro con l’altro: ferita o benedizione?

Il terzo incontro di Traiettorie di Sguardi che si è tenuto domenica 17 dicembre ha avuto come
ospiti Osvaldo Fusi, responsabile dell’Associazione Piccolo Mondo da anni impegnata con progetti
in Ruanda e Benin, e Alberto Rigolli che ha prestato servizio come ginecologo in diversi paesi
dell’Africa, ultimo in ordine di tempo la Sierra Leone.

Osvaldo ha raccontato come è nata l’Associazione “Piccolo mondo”, che ruota attorno a tre parole:
sogno, progetto, esperienza. La sintesi di queste tre parole permette di sperimentare la tenerezza di
Dio. L’associazione piccolo mondo continua con la sua attività a cercare la sintesi di queste tre
parole attraverso la realizzazione di una comunità familiare, la formazione di giovani volontari e
una “finestra aperta sul mondo” che rappresenta lo stile di apertura che l’associazione incarna con il
servizio in Italia e all’estero. La relazione con l’altro nonostante le difficoltà che essa comporta è
una sfida che Osvaldo con sua moglie e il suo gruppo di amici hanno deciso di accettare
trasformandola in un’occasione di incontro e di riconoscimento.

Il dott. Rigolli ha raccontato alla platea di giovani il suo ultimo anno di servizio in Sierra Leone,
che è il paese con la più alta mortalità materna del mondo. Quasi ogni giorno, infatti, ci si confronta
con la morte di almeno una madre. L’ospedale della capitale della Sierra Leone ha 150 letti solo per
le donne che devono partorire; ogni giorno ci sono mediamente tra i 30 e i 40 parti al giorno. Quello
che i medici del CUAMM – l’associazione con cui collabora Alberto Rigolli – tentano ogni giorno
è di applicare la medicina moderna in contesti difficili e di trasmettere la loro conoscenza ai giovani
medici e operatori sanitari del luogo per aiutarli sempre più a diventare autonomi.
Quello che fa la differenza, infatti, al di là delle barriere linguistiche e culturali, è il prendersi cura
della persona che ci si trova davanti.

Per entrambi gli ospiti l’incontro con l’altro, con l’altro ferito, è stata in più occasioni possibilità di
sperimentare la bellezza e la benedizione che la relazione porta con sé.

L’ALTRO: FERITA O BENEDIZIONE?

La vita felice ha una natura ambivalente: l’altro è al tempo stesso “ferita e benedizione”. Se, però, per evitare questa vulnerabilità mi rifugio nella solitudine, la vita non fiorisce. La scoperta dell’altro fatta dalla modernità è stata la scoperta del negativo e della “ferita”, non della benedizione. Nello stesso istante che l’uomo moderno dice “io”, dice “tu” con paura. Invece, nessuna forma di povertà può essere risolta senza amarla: solo chi sa vedere in quella forma di povertà qualcosa di bello riesce a redimerla.

UN’ETERNA NOVITA’

“Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale”. (Lettera a Diogneto). Ma ha ancora senso oggi “annunciare” questa “Buona notizia”? E a chi? Sentinelle di un compito grande: condividere l’affascinante e laboriosa ricerca dell’umano già redento.

Ospite

JOHNNI DOTTI – Marito, padre, pedagogista, imprenditore sociale. Monaco novizio. E’ fondatore della rete CGM, presidente e amministratore delegato di Welfare Italia Servizi.

UNO SGUARDO SULL’ALTRO

Domenica 15 ottobre è cominciata la nuova edizione di Traiettorie di Sguardi. Il percorso di quest’anno sarà dedicato al tema della missione e dell’incontro con l’altro. “Vai dai tuoi fratelli” – invito che dà il titolo alla rassegna di incontri – non vuole essere un modo di fare proselitismi, ma porta in sé la voglia di dire che ciò che si vive è straordinariamente bello.

Il primo incontro è stato aperto dal pedagogista e formatore Giorgio Prada al quale è stato chiesto di introdurre alla folta platea di giovani presenti il tema dell’incontro con l’altro. Come si incontra l’altro? Quando lo si incontra? Chi è l’altro per me?

Il primo e naturale approccio all’altro è lo sguardo. Lo sguardo è questione originaria: tutti siamo sensibili allo sguardo perché a lungo siamo stati guardati fin dall’inizio della nostra vita.

Per analizzare lo sguardo e i diversi tipi di sguardo, il professor Prada si è fatto aiutare dal cinema. Attraverso gli spezzoni di sette film più o meno famosi i giovani presenti hanno potuto rispecchiarsi in sguardi mancati; sguardi tra l’adulto e il giovane che anziché tracciare una relazione educativa l’hanno spezzata o mai cominciata; sguardi che chiedono e impongono di riflettere sulla propria identità per non perdersi o rischiare di non sapere più chi si è; sguardi sezionatori, che vedono solo una parte del tutto, che apprezzano l’altro che hanno di fronte solo per il suo aspetto, per il suo cervello, ma non considerano il resto; sguardi che orientano e influenzano le scelte del singolo, perché quando sono in tanti che guardano, come si può sottrarsi e non fare ciò che viene indicato? E infine lo sguardo che accoglie e aiuta, che non giudica e che si lascia mettere in discussione dall’incontro con l’altro.

A partire da questo primo incontro, che ha aperto molto domande, attendiamo il prossimo appuntamento per continuare a riflettere sull’incontro con il fratello.

Costruire comunità, liberare energie

In Italia sta succedendo qualcosa di mai visto prima. Abitanti di borghi e di città escono di casa per prendersi cura di piazze, giardini, scuole, beni culturali, cioè di beni comuni.
Lo fanno allegramente, ricostruendo i legami di comunità, producendo coesione sociale e integrazione, dimostrando con i fatti come si fa ad essere cittadini attivi, responsabili e solidali. Indicano una strada nuova, danno fiducia, liberano energie nascoste preziose per la ripresa del paese.

 

 

OSPITE

Elena Taverna: redattrice di Labsus, associazione per lo sviluppo del modello dell’amministrazione condivisa in tutti gli ambiti della vita associata.

Il senso del lavoro

Domenica 19 febbraio Traiettorie di Sguardi ha ospitato la docente universitaria Patrizia Cappelletti e tre imprenditori che hanno affrontato il delicato tema dei giovani e del lavoro: Filippo Berto Salotti, titolare dell’impresa Berto Salotti, che ha rilevato e rilanciato l’impresa familiare nel settore dell’artigianato; Beatrice Lancini, wedding designer; e Giusi Brignoli, responsabile del progetto di agricoltura sociale Rigenera, che da qualche anno ha avviato un progetto di agricoltura sociale in zona Persico.

Consapevoli che il lavoro è il punto di tenuta ma anche di caduta delle biografie personali, dei territori, del sistema economico e sociale dei paesi, il pubblico ha ascoltato con interesse il racconto di questi tre giovani che hanno trovato il modo di essere protagonisti all’interno del mondo del lavoro, in un tempo in cui quest’ultimo si è trasformato in un problema più che in un’opportunità, e che ha rivelato le fragilità del sistema economico dei paesi occidentali.

Cosa ha spinto questi tre giovani a iniziare un nuovo lavoro o a rilanciare rinnovando quello che era dei propri genitori? Per Filippo è stato uno scatto d’orgoglio e l’accettazione di una sfida lanciatagli dal padre ma non subito accolta; ha avuto bisogno di qualche anno e di altre esperienze per capire e riconoscere i valori di cui l’azienda di famiglia si faceva portatrice ed assumerli come propri e portarli avanti rinnovando non tanto la produzione quanto piuttosto la comunicazione, puntando sulla pubblicità e sul marketing. Beatrice ha sempre respirato in casa una grande senso del dovere, e dopo alcuni anni alle dipendenze ha deciso di provare a mettersi in proprio convinta che ciò su cui si deve puntare sempre nella vita è migliorare se stessi, partire da sé per migliorarsi e migliorare il mondo che ci circonda. Anche Giusi di fatto è venuta a contatto con il lavoro a partire dalla famiglia, e in particolare dagli zii che facevano i fruttivendoli; per lei il lavoro ha segnato la sua vita e la sua vocazione, spostandola dal territorio in cui è nata per trasferirsi in un altro territorio in cui il lavoro non c’era e bisognava provare a ricostruirlo coinvolgendo i giovani e cercando di non ripetere quegli errori che avevano danneggiato vecchie e nuove generazioni e il mondo dell’imprenditoria.

Per tutti e tre il lavoro è il perno della loro vita, è fonte di gratificazione, ma anche di sacrificio, fatica, studio, ma soprattutto passione, che provano a trasmettere alle persone con cui collaborano; cercando il più possibile di puntare su altri giovani da accompagnare anche se non sempre questo è facile, ma è sicuramente la scommessa più grande da affrontare se si vuole uscire da questi tempi bui fatti di disoccupazione e disoccupazione giovanile.

IL “SENSO” DEL LAVORO

Forse nulla come il lavoro può essere considerato oggi punto di caduta o di tenuta di tante traiettorie esistenziali. Precarietà e desiderio di autonomia, ricerca dell’espressione del sé e compromessi continui tra aspirazioni e dato di realtà, strumentalità e senso si incrociano e si scontrano, mettendo in fibrillazione le traiettorie d persone e di gruppi sociali. Come vivere oggi lo spazio del tempo del lavoro? E’ possibile coniugare la realizzazione di se stessi e contribuire alla realizzazione di altri e di altro?

 

OSPITE: Patrizia Cappelletti – Facoltà di Sociologia Università Cattolica di Milano.

Tre giovani si presentano, nella generatività di nuove imprese e di nuovi orizzonti.

Fiori di Bach

Fiori di Bach è il titolo dell’ultimo incontro di Traiettorie di Sguardi che si è svolto questa domenica – 15 gennaio – presso l’oratorio del Maristella. Titolo un po’ suggestivo come a voler sottolineare la diversità delle voci che si sono alternate, come diversi sono i fiori che possono essere impiegati per stimolare, curare e manifestare gli stati d’animo.

La voce guida è stata quella del professor Samuele Lanzi, docente di storia e filosofia presso il Liceo Vida di Cremona, che ha introdotto e fatto dialogare tra loro i tre giovani ospiti: Lubna Ammoune, farmacista che lavora nel milanese, mussulmana e di origini siriane; Francesco Mazza giovane seminarista di Cremona ma originario di Busseto, e Rachele Trezzi, atea, laureata in filosofia che cerca quotidianamente di portare i suoi studi nelle scuole elementari e medie attraverso laboratori pensati ad hoc.

Questi tre giovani sono stati chiamati a confrontarsi su tematiche quali la responsabilità dell’uomo rispetto al mondo che lo circonda e all’altro che incontra, consapevoli del fatto che l’uomo ha tanto la capacità di creare bellezza quanto quella di essere causa dell’orrore, avendo – rispetto agli animali che vanno avanti per istinto – in dotazione un “potere” che è quello della libertà.

Un’altra condizione, che accomuna tutti gli uomini, a prescindere dalle loro appartenenze religiose o culturali, è il fatto di essere figli. Condizione che – secondo Francesco – mette tutti sullo stesso livello, rendendoci fratelli; condizione su cui non abbiamo avuto margine di scelta: infatti, non abbiamo deciso noi quando nascere, dove nascere e da chi nascere. Se i genitori hanno la responsabilità di prendersi cura dei figli che mettono al mondo non è lo stesso per i figli, che – a detta di Rachele – non hanno nessun debito verso i genitori. L’unica responsabilità che si ha in quanto figli è verso il legame, la relazione che si ha con loro. Relazione che – secondo Lubna – non può essere data per scontata, anzi citando il Corano, Lubna sottolinea quanto anche i testi sacri invitino a “trattare bene i propri genitori”.

I figli, in quanto tali sono anche eredi. Il passaggio di testimone tra genitori e figli è inevitabile e si è chiamati a decidere cosa fare di questo testimone che ci viene lasciato in eredità. Rachele suggerisce che assumersi la responsabilità di farci carico in tutto e per tutto di questo testimone sia la scelta più saggia da fare, anche se è la più faticosa.

Secondo Francesco, questa responsabilità risiede nell’accompagnare l’altro che troviamo accanto a noi, come noi siamo stati accompagnati a nostra volta, e lo siamo ancora, nel cammino della vita.

Infine, Lubna ha ricordato le sue origini siriane dicendo che non avrà la stessa fortuna dei suoi genitori che quando era piccola l’hanno portata a visitare la Siria e le sue splendide città; per questo ritiene, oggi più che mai, importante rispondere delle proprie azioni e poterne rendere ragione agli altri, e ai posteri.

I fiori di Bach

Tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore, nelle diversità, che non vanno negate, delle varie fedi.

Significa prendere le proprie responsabilità e affrontare le questioni lasciate in sospeso pre prospettarsi in un presente e in un futuro con basi solide. Solo lavorando fianco a fianco si può individuare la giusta direzione.

 

OSPITE: Lubna Ammoun (giornalista musulmana) e alcuni giovani.

Samuele Lanzi – docente di filosofia

Faccia a faccia: relazioni profonde per aprirsi alla fraternità

“Faccia a Faccia”, questo il titolo dell’incontro del mese di dicembre di Traiettorie di Sguardi, sul tema della relazione.

Durante la serata gli ospiti – il professor Triani, docente presso l’università di Piacenza e Brescia e Mattia Cabrini, Marco Rossetti e Francesca Poli attori della Compagnia dei Piccoli – hanno aiutato la platea dei giovani a riflettere su un tema sempre attuale in un dialogo tra teatro e filosofia.

Sono stati tre i passaggi fondamentali della serata che hanno cercato di mettere in luce alcuni aspetti della relazione: relazione come disposizione, relazione come decisione e relazione come fraternità tra sconosciuti.

La relazione è innanzitutto disposizione, nasciamo dalla relazione e nella relazione, non ci sarebbe vita senza di essa, è bisogno primario dell’uomo. Noi siamo aperti al mondo e all’altro, siamo nella misura in cui incontriamo gli altri.

Il nostro essere persona si sviluppa nella relazione ma questa relazione è però fragilissima; infatti è una disposizione ambivalente: la relazione è caratterizzata dalla fiducia ma anche del sospetto, può essere aperta o chiusa, è riconoscimento dell’altro ma può trasformarsi anche in possesso dell’altro.

All’uomo però non può bastare la relazione come istinto primario, occorre arrivare ad uno scambio profondo che si realizza nel momento in cui si decide di giocarsi nella relazione; questa profondità si raggiunge nella relazione cuore a cuore che secondo il filosofo Mounier ha queste caratteristiche: uscire da sé per lasciare aperta la porta all’altro, prendere su di sé l’altro, sentire l’altro, donare se stessi, essere fedeli.

Scegliere la relazione significa scegliere l’altro disponendosi a cambiare. La bellezza della relazione profonda è che il nostro limite è svelato nello sguardo benevolo dell’altro, è stare all’interno della fragilità e della generatività: infatti, non si può controllare quello che può sorgere all’interno della relazione profonda. Quindi ci si apre all’inatteso, all’estraneo e anche al rischio.

Non è possibile entrare in relazione profonda con tutti ma è necessario riconoscere che tutti abbiamo la stessa radice, che tutti siamo esseri umani e quindi fratelli.

Riconoscersi fratelli è la condizione di possibilità secondo il professor Triani di scegliere relazioni profonde e tenersi aperti all’incontro con l’altro. Se le nostre relazioni profonde si chiudono, se gli altri lontani diventano nulla allora il rischio è che i nostri rapporti diventino narcisistici e quindi destinati a finire.

La fraternità ci permette di alimentare le nostre relazioni profonde e di avere uno sguardo di dono e non di possesso verso l’altro.