“Il vero capitale della mafia non è quello economico, ma quello umano e sociale”. Don Ennio Stamile, parroco di San Benedetto di Cetraro, direttore Migrantes regionale, già delegato della Caritas calabra, e Salvatore Amodio della Direzione Investigativa Antimafia, all’incontro di marzo di Traiettorie di Sguardi. Annunciare, denunciare, rinunciare. La differenza cristiana è la trasfigurazione persino delle cose più brutte. Una comunità capace di aiutare coloro che vengono sfruttati dalle ‘ndrine. “Siamo chiamati a fare come Dio che prende il male e ne fa del bene”. La ‘ndrangheta tesse una tela di ragno. Non regala soldi, li investe e li sfrutta. E se in Calabria non c’è più acqua da succhiare, la ‘mala pianta’ affonda le sue radici dove c’è ricchezza, entrando nelle imprese, nel tessuto civile, nei grandi appalti.
Gli eroi sono le vittime dell’estorsione e delle violenze che denunciano. La differenza cristiana è la carità. I poveri ci nutrono. In loro c’è la realtà trasfigurata del Cristo. Il Padre non ha la parola perché la sua parola è il figlio che svuota se stesso per fare spazio all’altro.
Una mossa che può riaprire i giochi
In un tempo che sembra chiudere, isolare impaurire, c’è bisogno di persone che siano generative di idee e di progettualità nuove. E’ più facile rimanere fermi. Dobbiamo puntare a lasciare qualcosa di noi perché siamo parte di qualcosa di più grande, per dare un significato. L’alternativa è l’immobilismo, il dire: ‘Tanto non cambia mai niente’. Diventiamo generativi solo accettandoci in relazione con gli altri, riconoscendo di dipendere da qualcuno, di appartenere a qualcosa. La crisi può essere intesa come opportunità per il futuro. Facciamo una mossa che possa riaprire i giochi con fiducia e metodo.
Dove abita chi ha speranza? Chi ci può aiutare a riaprire il futuro? Il coraggio è quello di diventare iniziatori di processi di cambiamento.
Il contributo di Patrizia Cappelletti, ricercatrice sociale all’Università Cattolica di Milano, ospite a Tds sul tema della speranza.
Mi hanno dato un corpo
che non dura
“Mi hanno dato un corpo che non dura. Solo Dio ha il diritto di svegliarmi”. Paura, speranza, fiducia, coraggio. Dovrai amare molto i malati cronici. La paura è il loro male. Il coraggio è essenziale sia per il malato, sia per il medico.
Incontro sulla sofferenza quello di gennaio. A “Traiettorie di sguardi” la dott.ssa Donatella Giannunzio, direttore U.O. Cure palliative –Hospice Cremona, e don Maurizio Lucini, assistente spirituale Ospedale di Cremona. Assente, ma presente con uno scritto il prof. Rodolfo Passalacqua, direttore Unità Operativa di Oncologia, Istituti Ospitalieri Cremona.
Don Maurizio luccini: coraggio per chi cura e per chi vive sulla sua pelle la malattia e la sofferenza. Non vogliamo insegnare a nessuno come si soffre.
Per chi soffre, avere coraggio significa accettare di fare i conti con una rinnovata coscienza di sé e con una inedita identità. La sofferenza, quella grave, tocca la vita in profondità per dimensione fisica, sfera comunicativo-sociale, mondo del lavoro, sicurezza economica, significato, affettività. È l’amore degli altri che mi dà un’identità. Il coraggio allora non è tanto quello di fare una terapia, ma quello di accettare sé stessi nella nuova forma. Ritrovare in quello che sto vivendo un nuovo progetto.
Il coraggio di chi assiste, medici, infermieri, familiari, amici, volontari. Mettere il proprio coraggio a disposizione dei paziente che non ce l’hanno. Lo scopo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita possibile per pazienti e familiari. Nella legge 38 del 15 marzo 2010 c’è il diritto alla non sofferenza.
Dobbiamo fare i conti con la nostra sofferenza per accogliere quella degli altri. Il mancato coraggio di affrontare noi stessi ci fa dire di fronte a una persona che soffre ‘cosa vado a fare?’, ‘non so cosa dire’.
L’uomo non è padrone della vita. L’amore non è una favola. Quando uno si sente amato e gli viene tolto il dolore ha il coraggio di continuare a vivere. Anche all’Hospice c’è un tempo di vita. Non è una questione di durata, ma di qualità.
Anche la sofferenza, come l’innamoramento, è una scuola di vita. Ti fa vedere in modo diverso te stesso, gli altri e ciò che ti circonda. Se non si scappa.
Bibliografia
Dal Piccolo principe: “…Al che l’aviatore non sa cosa dirgli, cosa rispondergli, come consolarlo, toccarlo, raggiungerlo perché il paese delle lacrime è così misterioso”
Viktor Emil Frankl
Film: “50 e 50″ di Jonathan Levine. “Patch adams” di Tom Shadyac.
Quando vale davvero
la pena rischiare
“La giovinezza è il tempo privilegiato per fare quelle scelte che permetteranno di diventare chi vogliamo essere”. Con queste parole Alessandra Olivieri e Pierpaolo Triani, rispettivamente docente di filosofia e storia nei licei e professore all’Università Cattolica, hanno esordito nell’ultimo incontro di Traiettorie di Sguardi dedicato al tema della scelta.
Radice di ogni scelta è la libertà: scegliamo perché siamo liberi, perché si aprono di fronte a noi delle possibilità, degli aut-aut. E ogni possibilità chiede una decisione che – come ha ricordato Alessandra – deriva dal verbo latino “de-cidere” che significa “tagliare via”. Un tagliare via che esclude ma che al tempo stesso porta con sé la sfida di entrare dentro alla propria vita fino in fondo, di incamminarsi sulla propria strada. E la scelta, infatti, a detta del professor Triani, è proprio accettare un legame, coinvolgersi e lasciarsi coinvolgere.
Entrambi poi si sono soffermati sul fatto che ciò che spinge a scegliere è il riconoscimento di un bene, di un valore che muove il nostro desiderio e la nostra volontà – anche se non sempre questo bene è evidente e immediato.
Se la quotidianità di ognuno di noi è costellata di decisioni è però l’orizzonte di fondo, la scelta fondamentale, che risponde alla domanda “chi è il tuo Dio?”, che orienta e determina tutto il resto. E il fine ultimo di tutte le nostre scelte e della scelta fondamentale è la felicità.
Per scegliere ci vuole coraggio e le fonti di questo coraggio si trovano nella temporalità: nella memoria perché si sceglie in base a chi si è stati; nell’attesa perché si sceglie mossi da chi si sarà e da chi si vorrà essere; e infine nella ripresa perché in fondo niente è detto una volta per tutte. Alcune possibilità si ripresentano, alcune scelte chiedono di essere riprese; perché nella scelta è compresa anche la possibilità dell’errore. E il coraggio della scelta sta anche nell’accettare questo errore, che dice dei nostri limiti, ma anche che la vita è più grande, che l’amore è più grande. E che quindi a volte vale davvero la pena rischiare.
Giulia Fiammenghi
Foto di Giusi Biaggi
I limiti del giudizio
e la forza delle verità
Chi confessa dice la verità? Se due testimoni dicono una cosa, quella cosa è vera? Qual è il ruolo della giuria, frazione della collettività? Enzo Platé e Massimo Vacchiano, rispettivamente presidente e consigliere della Seconda sezione Penale della Corte d’Appello di Brescia, al terzo incontro di Traiettorie di Sguardi ‘Non abbiate paura’.
La via della verità giudiziaria è una via umana, impervia, costeggiata dal precipizio dell’errore. La verità è filtrata, non è una verità storica. Tra il fatto accaduto e il giudice si pongono prove ed indizi. Il suo compito è quello di ragionare in modo razionale, prendendo in considerazione le diverse alternative. E rispettando i confini, però, perché l’umano ha sempre bisogno di limiti, anche nel giudizio.
E allora capita che il giudice avverta una certa verità che vorrebbe trasformare in giustizia, ma succede che ci siano strumenti che lo limitato. I limiti sono garanzia del giudizio, la motivazione è la garanzia.
In primo piano, il processo in appello sulla strage di piazza della Loggia a Brescia che ha visto protagonisti proprio Platé e Vacchiano, emozionati nei ricordi. 900 mila pagine, 140 faldoni, 500 testimoni sentiti. Alla fine un verdetto: assolti gli imputati. E la bomba, scoppiata nel 1972 durante una manifestazione contro le violenze compiute dalla destra estrema, causando 8 morti e oltre cento feriti, resta senza colpevoli. “Era una protesta per la democrazia. La strage rappresentava un gesto punitivo e intimidatorio con cui si voleva colpire oltre ai manifestanti, lo Stato”.
Ci sono testimonianze che interrogano le coscienze dei giudici. Processi a cui dedicare un ‘pezzetto’ della propria vita. Ci sono verità da perseguire a tutti i costi per qualcosa di più grande, per ricercare il bene comune. Anche se, a volte, le regole “limitano” il giudizio.
Libro consigliato: L’arte del dubbio di Gianrico Carofiglio (Sellerio Editore)
Scarica il testo testimonianza sulla strage di piazza della Loggia
Dom 20 novembre – Piano Forte
NOTE ORGANIZZATIVE
Ore 18,15 Oratorio Maristella, via Agreste 11
Ospite:
Roberto Cipelli: pianista e compositore, è uno dei fondatori del Paolo Fresu Quintet e artista Blu Note. Attualmente è docente di Pianoforte Jazz presso il Seminario Jazz di Nuoro. Dal gennaio 2007 insegna presso il conservatorio di Trento.
L’ascolto autentico è raro e difficile. Silenzio e ascolto si nutrono “reciprocamente”: è solo nel silenzio che la parola può “risuonare” nitidamente ed è lasciando che il nostro silenzio sia abitato da quanto abbiamo ascoltato in profondità che evitiamo di cadere nel “mutismo” o nel terrore del vuoto e del “non senso”. L’udito è l’albero maestro dei sensi: solo se sei capace di ascolto ti riuscirà di attingere all’immensa energia del verbo “amare”. Col potere evocativo di melodie e ritmi, la musica ci ricorda che amiamo non solamente con il corpo e la mente, ma con tutto il nostro essere. Grazie alla musica possiamo viaggiare nell’infinito e nell’eterno e ritornando nella piccolezza del nostro essere ci sorprendiamo rinnovati, rinvigoriti e affinati, scopriamo che di qualche frammento di mistero siamo riusciti a cogliere la pienezza di senso.