20 febbraio 2011
Fabio Geda, educatore e scrittore
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«Ecco. Anche se tua madre dice cose come queste e poi, alzando lo sguardo in direzione della finestra, comincia a parlare di sogni senza smettere di solleticarti il collo, di sogni come la luna […] e di desideri – che un desiderio bisogna sempre averlo davanti agli occhi, come un asino una carota, e che è nel tentativo di soddisfare i nostri desideri che troviamo la forza di rialzarci, e che se un desiderio, qualunque sia, lo tieni in alto, a una spanna dalla fronte, allora di vivere ne varrà sempre la pena – bè, anche se tua madre, mentre ti aiuta a dormire dice tutte queste cose con una voce bassa e strana […], anche in quell’occasione è difficile pensare che ciò che ti stia dicendo sia: Khoda negahdar, addio».
(Da Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda, Dalai Editore)

Enaiatollah Akbari ha dieci anni. Ed è solo. Afghano d’origine, in Pakistan si scopre un giovane migrante in cerca di un posto dove fermarsi ed avere la sua età. «L’ho conosciuto quattro anni fa alla presentazione del mio primo libro – ricorda Fabio Geda, autore di Nel mare ci sono i coccodrilli, un “non-fiction novel” che raccoglie il racconto dell’odissea di Enaiatollah -. Mi ha chiesto di scrivere la sua storia. Ho accettato, cercando di restituirgli un album di fotografie, una memoria». Così, l’etichetta “immigrati clandestini” prende le fattezze di un ragazzino che ha un nome, una famiglia e una storia.
Enaiatollah con le parole orali, Fabio Geda con le parole scritte. Lo stesso modo di raccontare storie, con levità e speranza. «Di storie come quella di Enaiatollah ce ne sono tantissime – continua Geda -. Sono giovani che rischiano senza il paracadute. Questo li distingue dagli altri ragazzi che, invece, un “salvagente” ce l’hanno nella famiglia, nel tempo, negli amici, nella società. I rischi dei giovani migranti non si possono comprendere, ma accettare e umilmente condividere. Nel lavoro di scrittore, come in quello di educatore. Ascoltando».
Fabio Geda è un educatore votato alle storie. Uno scrittore dal percorso rapsodico nel settore sociale. Durante gli studi universitari a scienze della comunicazione, affitta insieme a un gruppo di amici un negozio sfitto nel quartiere San Salvario di Torino e ci fa una comunità di bassa soglia per ragazzi di strada. Si appassiona al sociale e comincia a lavorare in una struttura di alloggio per minori. «La scrittura è sempre stata una mia vocazione, diciamo – racconta Fabio Geda -. Poi, un giorno ho dato un passaggio ad un ragazzino romeno che, durante il tragitto, mi ha raccontato metà della sua storia. L’ho fatto diventare il personaggio del mio primo romanzo che si intitola Per il resto del viaggio ho sparato agli indiani». Un racconto in presa diretta del lavoro di educatore, invece, è L’esatta sequenza dei gesti, il secondo lavoro di Geda. Due operatori sociali, due ragazzini, una famiglia e i servizi per descrivere una professione «a cui la gente è interessata, ma di cui conosce ancora pochissimo».
Educare, insegnare, raccontare. Rapportarsi ad un mondo giovanile in evoluzione per la presenza di giovani stranieri e per un nuovo rapporto con la generazione adulta. «La scuola e il mondo adulto – riflette Geda – hanno perso il loro status simbolico, la loro corazza. Oggi i ragazzi ci dicono continuamente: “Non siete i nostri esempi” e il rapporto con loro va ricontrattato quotidianamente, nonostante la differenza anagrafica e di ruolo. Tutto questo è molto stimolante perché ci chiede di metterci in gioco. Perseguendo una trasformazione reciproca per cambiare insieme e diventare, insieme, qualcos’altro. In un rischio quotidiano».
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